giovedì 3 giugno 2010

 

Impotenza nella relazione di aiuto

Tutti sappiamo per esperienza cosa significa provare un senso di impotenza o di frustrazione in una situazione o circostanza nella quale ci sentiamo nell’incapacità di aiutare qualcuno che condivide con noi il suo disagio. Spesso questa sensazione di inadeguatezza ci porta a voler fuggire dalla relazione, a sentire rabbia, insofferenza, a cercare di trovare soluzioni a dare consigli, ma sappiamo anche che queste strategie non risolvono quello che sentiamo e nemmeno il problema. In realtà la chiave di volta per aiutare una persona che condivide con noi la sua sofferenza e la sua difficoltà è quella di accettare il problema ed il senso di frustrazione che sentiamo: ad esempio ricordo quando parlai per la prima volta con una utente di ARAS di 48 anni, che pesa Kg 130, che è diabetica, che vive con € 500 al mese, che soffre di crisi epilettiche, che ha avuto un aborto al settimo mese di gravidanza, che non ha rapporti sessuali col marito che è depresso, che avendo le gambe piagate non può camminare e che abita in un paesino con strade lastricate con piccole mattonelle, tutte in salita. Accogliere tutto questo senza cercare soluzioni o fuggire è il nucleo del cambiamento. Alcune volte possiamo trovare intollerabile stare con quello che la persona ci dice, è il segnale che ha toccato una parte profonda dentro di noi della quale non siamo consapevoli, ma può essere l’inizio di un processo di cambiamento, di crescita. Questo è possibile in un setting privilegiato come quello del Counselling o della Psicoterapia perché possiamo elaborare, comprendere quello che stiamo vivendo e attraverso uno scambio positivo e non giudicante con un compagno, un amico. Se possiamo stare con quello che proviamo, questo modo di essere crea quello che si chiama il linguaggio della ‘presenza’, siamo presenti a noi stessi e creiamo uno spazio di accoglienza per quello che sentiamo dando con il nostro comportamento ed esempio la possibilità alla persona in difficoltà di fare la stessa cosa. Il messaggio che comunichiamo in questo modo è ‘se ci stò io ci puoi stare anche tu’, ed anche ‘se ci può stare lui allora non è tanto grave ci posso stare anche io’. Alla base di questo atteggiamento stà la fiducia che nella persona ci sono le risorse interiori per  modificare gradualmente la sua situazione che possono essere attivate da un atteggiamento di fiducia e di accetazione senza condizioni, positiva. Questo relazionarsi crea il miracolo cioè la possibilità del cambiamento quando è fatto costantemente o dà la possibilità di un sollievo nella sofferenza se fatto in modo occasionale o saltuario. Questo non esclude dalla nostra consapevolezza le difficoltà oggettive nelle quali la persona si trova a essere in quel momento ma sposta il fuoco e l’attenzione sulla ricerca delle risorse che sono dentro di lei anche se in quel momento non sono ancora state scoperte e quindi non sono visibili. Concludendo direi che se riusciamo ad accompagnare la persona ad essere il più possibile vicino a ciò che è,  abbiamo fatto il meglio di quanto ci è possibile e questo è più che sufficiente.

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